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  • Questo non si può dire

    1 marzo 2022 Foucault (1926-1984) nell’Ordine del discorso sostiene che nella nostra società il discorso sulla sessualità e quello sulla politica sono interdetti. Foucault affermava ciò nel 1970, ora a mio avviso la questione è diversa, ma resta comunque fecondo seguire le tracce foucaultiane. «In ogni società la produzione del discorso è insieme controllata, selezionata, organizzata e distribuita tramite un certo numero di procedure che hanno la funzione di scongiurarne i poteri e i pericoli, di padroneggiarne l'evento aleatorio, di schivarne la pesante, temibile materialità. In una società come la nostra si conoscono, naturalmente, le procedure di esclusione. La più evidente, ed anche la più familiare, è quella dell' interdetto. Si sa bene che non si ha il diritto di dir tutto, che non si può parlare di tutto in qualsiasi circostanza, che chiunque, insomma, non può parlare di qualunque cosa». Foucault delinea in prima battuta i dispositivi di controllo dei discorsi, che la società mette in atto per rendere possibili alcuni discorsi e per escluderne altri. Vi sono enunciati che sono conformi alle pratiche che frequentiamo nella nostra società, i quali si pongono al servizio dei dispositivi di potere, che a loro volta assoggettano – ci rendono soggetti a tali dispositivi - ma allo stesso tempo soggettivano – ossia fanno di noi dei soggetti delle pratiche stesse. Pensate per esempio al dispositivo della lingua italiana. Da un lato siamo assoggettati al dispositivo della lingua, perché dobbiamo parlare secondo le regole della lingua italiana: non possiamo inventarcele per essere capiti. Dall’altra parte l’esercizio lingua, nelle comunità in cui nasciamo, con le proprie regole e con la propria grammatica scrivono dentro di noi l’anima che siamo, poiché ci dà la possibilità di raccontarci la nostra storia sensatamente, ci concede la capacità dell’autobiografia, cioè ci dice ciò che di noi possiamo raccontare, ci fa i proto-agonisti della nostra storia richiamata in un discorso. I discorsi non solo dicono, ma anche interdicono, cioè bloccano, non permettono il passaggio ad alcuni modi di esprimersi. Le pratiche discorsive sono i modiche abbiamo per esprimere qualcosa di significativo, che ereditiamo dal tempo dell'infanzia e dal contesto sociale e comunitario in cui viviamo. Foucault conclude dicendo: «Noterò solo che, ai nostri giorni, le regioni in cui il reticolo è più fitto, in cui si moltiplicano le caselle nere, sono le regioni della sessualità e della politica: come se il discorso, lungi dall'essere l'elemento trasparente o neutro nel quale la sessualità si placa e la politica si pacifica, fosse uno dei siti in cui esse esercitano, in modo privilegiato, alcuni dei loro più temibili poteri. Il discorso, in apparenza, ha un bell’essere poca cosa, gli interdetti che lo colpiscono rivelano ben tosto, e assai rapidamente, il suo legame col desiderio e col potere. E non vi è nulla di sorprendente in tutto questo: poiché il discorso - la psicanalisi ce l'ha mostrato - non è semplicemente ciò che manifesta (o nasconde) il desiderio; e poiché – questo la storia non cessa di insegnarcelo - il discorso non è semplicemente ciò che traduce le lotte o i sistemi di dominazione, ma ciò per cui, attraverso cui, si lotta, il potere di cui si cerca di impadronirsi». Foucault vede la politica e la sessualità come i campi su cui si esercita il potere dell’interdizione discorsiva. Il discorso è interdetto nella politica e nella sessualità, per cui in tali ambiti non tutto si può dire in ogni circostanza. Abbiamo preso le mosse da Foucault per vedere come i discorsi esprimano la loro potenza anche nel gioco del silenzio di certi enunciati rispetto ad altri. Dal mio punto di vista oggi nella nostra società c’è un discorso che è interdetto più di tutti: nella nostra società non si può non godere. Il godimento non può non essere raggiunto. È il godimento a muovere il mondo del mercato globale, in cui siamo immersi, e a cui ci rivolgiamo, non appena abbiamo bisogno di qualcosa. La nostra società impone il divieto di non godere . In ogni nostra azione siamo spinti a dover sempre godere di ciò che ci accade, pensate che su questo principio si basa ogni propaganda politica e ogni campagna pubblicitaria. Il nostro mondo, in cui l’economia di mercato per lo più sorregge le nostre vite da cima a fondo, esibisce l’obbligo di godere dei prodotti. Senza godimento non c’è consumo, senza consumo non c’è profitto, e senza profitto non c’è accumulazione del capitale. L’etica economica del capitalismo vive attraverso il godimento del cliente nel consumo della merce. L’inevitabile effetto è la capitalizzazione del godimento, ragion per cui il discorso sul non raggiungimento del godimento è interdetto pressoché a chiunque nella nostra società: non ne sappiamo parlare e non sapremmo neanche da dove cominciare. Ecco che in quella che sembra la democrazia economica del mercato dove ognuno è libero di comprarsi ciò di cui ha bisogno per godere, in realtà si palesa la dittatura del godimento imposta dall’etica consumistica. Lo schiavo del godimento pensa: “È un sistema che ci fa godere, come non amarlo? Perché mai fuggire?”. È questo un tema a mio avviso di profonda attualità difficile da discutere, perché il nostro discorso incontra un luogo di vuoto in questo campo, e la soluzione a mio avviso non può che rimanere aperta e aporetica, ma penso che il viatico preso a tema per quest’anno possa dare uno spunto di riflessione importante per iniziare a pensare il problema: «la Dittatura perfetta avrà la sembianza di una democrazia. Una prigione senza muri nella quale prigionieri non sogneranno di fuggire. Un sistema di schiavitù dove, grazie al consumo, al divertimento gli schiavi ameranno la loro schiavitù»

  • Se sei felice sei un illuso

    25 Marzo 2022 La Prof.ssa Cristina Zaltieri propone un estratto dell'intervista a . Buona lettura DALL’INTERVISTA AL FILOSOFO COREANO BYUNG CHUL HAN PER ZEIT WISSEN: “SE SEI FELICE SEI UN ILLUSO” sito TLON ORBIS (https://tlon.t/) ZW: Come può un individuo trovare la felicità in questa società – dovremmo impegnarci di più nelle nostre idee? BCH: Il sistema lo rende difficile. Non sappiamo nemmeno cosa vogliamo. I bisogni che percepisco come i miei bisogni non sono i miei bisogni. Come esempio prendete Primark, la catena di abbigliamento a basso costo. Le persone organizzazione car-sharing perché non ci sono negozi Primark in ogni città. Quando arrivano a destinazione, saccheggiano letteralmente il negozio. C’era un articolo su un giornale recentemente; riguardava una ragazza: quando è venuta a sapere che Primark stava aprendo un punto vendita vicino a C&A in Alexanderplatz [Berlino], ha urlato di gioia e ha detto: se qui c’è Primark allora la mia vita è perfetta. Questa vita è davvero perfetta per lei, o si tratta di un’illusione generata dalla cultura consumistica? Cerchiamo di vedere con esattezza cosa sta succedendo. Le ragazze comprano centinaia di vestiti, e ogni vestito costa forse cinque euro – che di per sé è follia, perché le persone muoiono per questi vestiti in paesi come il Bangladesh se un’industria di abbigliamento fallisce. Queste ragazze comprano centinaia di vestiti, ma difficilmente li indossano. Sapete cosa fanno con questi vestiti? ZW: Li fanno vedere su YouTube, su video Haul. BCH: Esattamente, li pubblicizzano! Fanno caterve di video in cui promuovono i vestiti che hanno comprato e giocano a fare le modelle. Ogni video su YouTube è guardato mezzo milione di volte. I consumatori comprano i vestiti e altre cose, ma non li usano, li pubblicizzano, e queste pubblicità generano nuovi consumi. In altre parole, questo è un consumo assoluto derivato, che è disconnesso dall’uso delle cose. Le aziende hanno delegato la pubblicità ai consumatori. Esse di per sé non pubblicizzano più. È un sistema perfetto. ZW: Dovremmo protestare per questo? BCH: Perché dovrei protestare se arriva Primark e rende la mia vita perfetta? ZW: «La libertà sarà stata un episodio», scrive nel suo nuovo libro Psicopolitica. Perché? BCH. La libertà è il contrario della coazione ossessiva. Se senti come libertà la coazione ossessiva a cui sei inconsciamente assoggettato: ecco la fine della libertà. La crisi della libertà consiste nel percepire la coazione ossessiva come libertà, così nessuna resistenza è possibile. Se tu mi costringi a fare qualcosa, allora io posso combattere questa coazione esterna. Ma se non c’è più un oppositore che mi sta convincendo a fare qualcosa, allora non ci può essere resistenza. Ecco perché, per iniziare il mio libro, ho scelto il motto: “protect me from what I want” [in inglese nell’intervista: proteggimi da ciò che voglio. N.d.T.], la frase resa celebre dall’artista Jenny Holzer. ZW: Perciò dobbiamo proteggere noi stessi da noi stessi? BCH: Se un sistema attacca la mia libertà, allora devo resistere. L’aspetto perfido è quindi che il sistema di oggi non attacca la libertà ma la “instrumentisce”. Per esempio: quando ci fu un censimento negli anni ’80 , ci furono delle proteste. Fu addirittura messa una bomba nel palazzo del governo. Le persone scesero in piazza perché nello stato vedevano un nemico che voleva raccogliere informazioni contro la loro volontà. Oggi trasferiamo dati personali più che mai. Perché non si protesta per questo? Perché, paragonato a quel che successe allora, ci sentiamo liberi. Allora le persone sentivano che la loro libertà era sotto attacco o che veniva ridotta, e per questo scendevano in piazza. Oggi, noi ci sentiamo liberi e trasferiamo i nostri dati personali volontariamente. ZW: Forse perché gli smartphone può aiutarci ad andare dove vogliamo. Consideriamo il beneficio maggiore del danno. BCH: Forse, ma nella sua struttura questa società non è diversa dal feudalisimo medievale. Siamo in una servitù. I signori feudali del digitale come Facebook ci danno la terra e ci dicono: arala e puoi averla gratis. E la ariamo come pazzi, questa terra. Alla fine, i signori feudali tornano e prendono il raccolto. Questo è lo sfruttamento della comunicazione. Comunichiamo gli uni con gli altri e ci sentiamo liberi. I signori feudali si arricchiscono con questa comunicazione, i servizi segreti la monitorano. Questo sistema è estremamente efficiente. Non ci sono proteste contro tutto ciò, perché stiamo vivendo un sistema che sfrutta la libertà.

  • Ok BOOMER!

    18 marzo 2022 “I giovani d’oggi non hanno voglia di lavorare” “I ragazzi oggi hanno già tutto e per questo sono troppo viziati” Questi sono due piccoli esempi di boomerate che le orecchie di noi ragazzi hanno sentito pronunciare diverse volte da, appunto, i così detti boomer. Ma cos’è esattamente un boomer? Come ricorda il nome, stiamo parlando delle persone nate durante o nella decade successiva al Boom Economico; vale a dire soggetti che nel corso della loro vita hanno sperimentato un trend di qualità della vita sempre crescente: nascita in un periodo di benessere esponenzialmente crescente, ingresso nel lavoro largamente assicurato, anche a fronte di qualifiche relativamente basse, progressione di carriera e, infine, pensione. Quest’anno il concorso Battagliarin indaga, tramite un estratto di Huxley, una realtà in cui il benessere rende quest’ultima apparentemente eccezionale nascondendo, dietro gli elevati standard di vita, i difetti, anche gravi, ad essa intrinsechi. Assumendo il punto di vista suggerito dal tema di quest’anno possiamo quindi riformulare la definizione che abbiamo dato di boomer non più sotto un aspetto generazionale ma, piuttosto, descrivendo gli atteggiamenti del boomer. Tale approccio ci permetterà, inoltre, di attribuire in modo meno generalizzato, ma più specifico, tale attributo; sarebbe infatti superficiale, se non addirittura sciocco, credere che chiunque sia nato durante il Miracolo Economico sia automaticamente un boomer e, parimenti, che chiunque sia nato dopo non lo sia. Con boomer classifichiamo, quindi, l’atteggiamento prevalente della generazione del Baby Boom nei confronti delle generazioni più recenti, ma non l’atteggiamento di tutti i suoi componenti. I boomer sono, di conseguenza, soggetti che hanno generalmente sperimentato un crescente benessere che ha dato loro l’impressione di vivere in una società che, se non ideale, è ad essa approssimabile; una società dove “chi ha voglia di fare fa” che, di conseguenza, non necessita di modifiche sostanziali. Tali persone sono quindi coloro che all’ombra del benessere hanno potuto ignorare le incredibili contraddizioni che la loro società stava producendo isolandosi, così, in un ideale di opportunità e distensione non coincidente con la realtà effettivamente in corso. Le contraddizioni sopra citate, tuttavia, non sono in grado di “auto-risolversi” o dipanarsi autonomamente, tant’è che esse si sono ripresentate con tutta la loro forza e come conto da pagare alle generazioni successive: cambiamento climatico, incertezza sul mantenimento degli standard di vita attuali o sul loro decadimento, difficoltà di ingresso nel mondo del lavoro e disoccupazione. Noi giovani di certo non possiamo additare ai nostri padri la colpa di essere nati e cresciuti in un periodo di crescita migliore del nostro, né tantomeno attribuire a loro individualmente le colpe per le incongruenze di quel periodo; e allora perché abbiamo coniato il termine dispregiativo Boomer? Citando Huxley : “La dittatura perfetta avrà la sembianza di una democrazia. Una prigione senza muri nella quale i prigionieri non sogneranno di fuggire. Un sistema di schiavitù dove, grazie al consumismo, gli schiavi ameranno la loro schiavitù.” Ai nostri occhi un Boomer è proprio una di queste persone abbacinate e, quindi, non più capaci di individuare la parte malsana del nostro sistema, ergo incapaci di comprendere le insicurezze di noi giovani e le nostre preoccupazioni. È proprio questa incapacità che li porta a sminuire le nostre battaglie sociali, climatiche e civili alle quali sono propensi a rispondere con indifferenza o contestazione in quanto “sono altre le cose che contano” ed infondo “si è sempre fatto così e non capisco tutta questa questione in merito” perché forse “siete troppo sensibili voi giovani e andando avanti così non si potrà dire più niente”. Tutte queste risposte generaliste non pongono mai una controproposta per risolvere il problema in questione poiché tale problema non esiste al di fuori del nostro confine generazionale, benché per noi giovani possa essere estremamente importante. È quindi facile comprendere che il giovane non trovi punti di contatto con l’uomo di mezza età che percepisce come in costante critica dei suoi sforzi per cambiare il sistema e totalmente indifferente verso i nuovi valori che propellono tali sforzi. Davanti a questa indifferenza e davanti alle classiche boomerate come “Ai giovani si deve far solo venire un po’ di voglia di lavorare” al giovane non rimane che rispondere: “OK BOOMER” e continuare imperterrito per la sua strada di lotta e correzione di una realtà che è tutto fuorché perfetta.

  • Non si può non godere

    17 Febbraio 2022 «La relazione tra il potere e il rifiuto delle libertà a sottomettersi non può essere sciolta… Nel cuore della resistenza del potere, a provocarla costantemente, c’è la resistenza della volontà e l’intransigenza della libertà. Piuttosto che parlare di una libertà essenziale, sarebbe più opportuno parlare di un agonismo - di un rapporto che al contempo è di incitamento reciproco e di lotta; più che di un affrontamento faccia a faccia che paralizza entrambe le parti, si dovrebbe parlare di una provocazione permanente» (Michel Foucault , come si esercita il potere, in La ricerca di MichelFoucault) Michel Focault è il filosofo di Sorvegliare e Punire, opera in cui lavora sistematicamente sul tema del potere. In questo passoci indica come la libertà esprime sempre la propria volontà di potenza nei confronti del potere, che la vuole assoggettare a sé. Foucault afferma una cosa che può sembrare scandalosa, ossia che la libertà non ha tanto a che fare con l’essenza, l’οὐσία, umana. Questa è un’asserzione tuttavia tanto scandalosa quanto profonda, perché per Foucault la libertà non è un dato di fatto, ma piuttosto il guadagno di un processo di conquista: bisogna conquistare la propria libertà! Il processo di conquista è in ogni modo una «provocazione permanente», mai un raggiungimento ultimativo. La libertà è sempre e di nuovo da riconquistare, dal momento che l’ἀγών, la contesa, si estende microfisicamente a tutte le nostre pratiche e a tutte le nostre relazioni, da cui - e qui si può dire proprio così - non si può sognare di fuggire, anzi da cui emerge uno spazio che contempla una lotta di forze, di domini, di asservimenti, di assoggettamenti, dove si sente il «rumore sordo e prolungato della battaglia», come dice la chiusura di Sorvegliaree Punire. È in questo illuminante testo che Foucault ci avvisa come, se è vero che con il procedere della storia nella nostra società non ci sono più massacri, stermini e obliterazioni di corpi umani da parte degli organi incaricati a esercitare il potere, questo però accade in quanto in un regime di produzione capitalista i corpi devono essere utili, docili, disciplinati, produttivi, ammaestrati al lavoro. Foucault dedica Sorvegliare e punire al sistema di punizione, al sistema di sorveglianza e al dispositivo del penitenziario, ed è esattamente qui che possiamo dare voce al confronto con il tema scelto per quest’anno, in cui è stato preso come viatico un passo di Aldous Leonard Huxley. Possiamo dire, dietro l’ombra del nostro testimone, che oggi l’istituzione che esercita il potere mira a istituire «un sistema di schiavitù dove, grazie al consumo e al divertimento, gli schiavi ameranno la loro schiavitù». Come opporre a questa idea «la resistenza della volontà e l’intransigenza della libertà»? Focault risponderebbe mediante un lavoro di cura del sé volto a esplicare la verità di chi ognuno di noi è, ma è l’unica strada possibile? Quali esercizi ognuno di noi può fare per essere libero dalle prigioni invisibili che il mondo, la società, la famiglia e le istituzioni ci impongono?

  • Social Network una prigione autoimposta

    17 febbraio 2022 Caratteristica della nostra specie è la necessità di avere un gruppo di appartenenza e, allo stesso tempo, godere di uno status individuale in tale gruppo. Questo status è certamente collegato alla nostra interiorità ma è indubbiamente concretizzato soltanto per opera di altri che, appunto, riconoscono la nostra persona come valevole di una posizione sociale. Come individui lottiamo costantemente per ottenere tale riconoscimento; per tanto sviluppiamo qualità, skills sociali e talenti tali che possano rafforzare l’immagine di noi che proiettiamo e quindi, rafforzare lo status che ci viene riconosciuto dagli altri. Per quanto potremo mai migliorarci, tuttavia, non saremo mai in grado di annullare i nostri difetti, i quali contribuiranno al ritratto di noi stessi che gli altri faranno di noi e tramite il quale ci riconosceranno. L’arrivo dei social network ci ha permesso, però, di sviluppare un’immagine di noi stessi controllata e filtrata. Abbiamo quindi assunto il potere di diffondere questa perfezione di noi pur rimanendo esseri imperfetti. Anche gli altri individui del nostro gruppo sono entrati in possesso di questo potere, pertanto anche noi riconosciamo il loro status tramite queste immagini ideali che riceviamo. Le perfette rappresentazioni di chi ci circonda collidono con la nostra intima imperfezione. Per tanto ci reputiamo incapaci di raggiungere lo status degli altri membri del gruppo e si sviluppa in noi un senso di inadeguatezza e insoddisfazione. Tali sensazioni sconfortanti sono oggetto dell’inchiesta del Wall Street Journal “The Facebook file” riportata a pié di pagina che dimostra, dati alla mano, l’esistenza da tali sensazioni di inadeguatezza provenienti proprio dall’utilizzo di massa dei Social Network. Nonostante essere un utente attivo contribuisca alla nostra infelicità, quasi nessuno di noi rinuncia all’uso dei social, anzi lo implementa seguendo i trend di nuove piattaforme. Questo perché l’assenza dai social è interpretata come impossibilità di essere riconosciuti. Non è questa forse la più grande prigione senza muri da cui nessuno vuole scappare? Reti sociali tramite le quali apparentemente possiamo dire e fare tutto quello che vogliamo, sfogando la nostra libertà, ma che intrinsecamente ci spingono ad autoimporci standard ben precisi in cui rientrare. Non continuiamo ad amare tali piattaforme nonostante esse ci schiavizzino? Obbligandoci a dare un’immagine di noi sempre meno vera ma sempre migliore? Sempre più social? https://www.wsj.com/articles/the-facebook-files-11631713039

  • TEMA ANNO 2022-2023

    Ai docenti, agli studenti, ai genitori del biennio e del triennio OGGETTO: Concorso di eccellenza intitolato a Giordano Battagliarin: “Il mondo contemporaneo” A nome di Giordano Battagliarin viene istituita un’attività di ricerca pluriennale che si propone di raccogliere i lavori di tutti gli studenti del biennio e del triennio delle scuole milanesi Tito Livio, Manzoni e Istituto Marcelline Tommaseo per dar vita ad un corso di eccellenza scandito annualmente da un concorso di fine anno scolastico. Le passioni intellettuali di Giordano erano indirizzate allo studio della contemporaneità e ad essa i promotori vogliono ispirarsi per la scelta annuale del tema. Attraverso gli strumenti più svariati (poesie, scritti, saggi, audiovisivi, manufatti artistici, copioni di rappresentazioni, fotografie, elaborazioni al computer e ogni altro mezzo idoneo alla comunicazione del pensiero) è dato agli studenti agio di poter esprimere ricerche e percorsi di ricerca che dovranno caratterizzarsi per qualità e serietà. La scelta del tema è affidata alla Commissione. I lavori dovranno essere presentatati alla Commissione giudicatrice entro e non oltre il 20 maggio 2023. Le composizioni scritte non dovranno superare il limite di 10.000 battute, spazi inclusi. Nei giorni successivi si riunirà la Commissione per vagliare i lavori e decidere la premiazione. A fine anno scolastico avverrà la premiazione. I premi, primo, secondo e terzo, consteranno in una somma offerta dalla famiglia Battagliarin per l’acquisto di libri, audiovisivi e prodotti culturali. Nel caso si ottenessero lavori che, a insindacabile giudizio della Commissione giudicatrice, non raggiungessero il livello ottimo richiesto, sarà possibile non assegnare il premio. La Commissione giudicatrice, formata da docenti dei tre licei e da alcuni ex-studenti, curerà gli aspetti organizzativi dell’intera ricerca. Il tema scelto quest’anno è il seguente: L’intera storia dell’uomo è la storia della coabitazione della terra con l’animale, una coabitazione non proprio pacifica e armonica, bensì all’insegna del dominio dell’uomo sull’animale in virtù di una presunta superiorità del primo sull’altro, visto come essere “mancante”: mancante della parola, della ragione, del sentimento, della capacità di distinguere bene e male… Così scrive Aristotele (Politica, 1253a, 7-18): Ma solo l’uomo fra gli animali ha la parola [λόγος, anche “ragione”]: dunque la voce è il segno del dolore e del piacere e per questo è anche negli altri esseri viventi, ma la parola serve a mostrare ciò che è di vantaggio e di danno, cosicché anche il giusto e l’ingiusto: questo, infatti, è proprio dell’uomo di fronte agli altri animali: avere lui solo il sentimento del bene e del male, del giusto e dell’ingiusto e delle altre cose. E così, d’altra parte, si legge nella Bibbia (Genesi 1, 27-28): Creò allora l’uomo a sua immagine, lo creò maschio e femmina, li benedisse e disse loro: «Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra e soggiogatela, abbiate dominio sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo, e su ogni essere vivente che si muove sulla terra». Con il suo sviluppo la civiltà industriale, nella sua espansione destinata a diventare globale, ha distrutto gli habitat di migliaia di specie selvatiche e ha portato a livelli impensabili l’allevamento dell’animale utile all’uomo come carne, pelle o altro, una sorta d’immenso genocidio. […] con l’allevamento e l’addestramento dell’animale su scala demografica che non ha uguali nel passato, con la sperimentazione genetica, con l’industrializzazione di ciò che si può chiamare la produzione alimentare della carne animale, con la diffusione massiccia dell’inseminazione artificiale, con la riduzione dell’animale, non solo alla produzione e alla riproduzione sovradimensionata di carne alimentare (ormoni, incroci genetici, clonazione, ecc.), ma anche a tutte le altre finalizzazioni intese al servizio di un certo essere o di un supposto benessere umano dell’uomo […], oggi nessuno può negare tale evento, cioè le proporzioni senza precedenti dell’assoggettamento dell’animale […] che qualcuno potrebbe paragonare ai peggiori genocidi. J. Derrida, L’animale che dunque sono. Questi ultimi due secoli hanno visto timidamente affacciarsi anche un pensiero che s’interroga sui diritti degli animali, di cui noi tutti dovremmo farci portavoce, dato che la loro voce non ha cittadinanza alcuna. Verrà il giorno in cui tutte le altre creature animali acquisiranno quei diritti che nessuno, se non un tiranno, avrebbe dovuto negare loro. Un giorno si arriverà a riconoscere che il numero delle zampe, la villosità della pelle o la terminazione dell'osso sacro sono ragioni insufficienti per abbandonare al capriccio di un torturatore un essere senziente. Cos'altro dovrebbe tracciare la linea invalicabile? la facoltà razionale? o forse quella di discorrere? Ma un cavallo o un cane da adulti sono animali incomparabilmente più razionali e più articolati nella conversazione di un bambino di un giorno, di una settimana o di un mese. E anche supponendo che così non fosse, che mai conterebbe? La domanda da porsi non è: sanno ragionare?, e neppure: sanno parlare?, bensì: possono soffrire? Jeremy Bentham, Introduzione ai principi della morale e della legislazione. Parlare a nome degli animali è doveroso, ma senza dimenticare il monito dei poeti, ai quali è dato uno sguardo acuto: quello che è capace di sentire e di rispettare il mistero che ogni animale, per noi animali umani, porta con sé. Volano, gli uccelli volano Nello spazio tra le nuvole Con le regole assegnate A questa parte di universo Al nostro sistema solare Aprono le ali Scendono in picchiata, atterrano Meglio di aeroplani Cambiano le prospettive al mondo Voli imprevedibili ed ascese velocissime Traiettorie impercettibili Codici di geometria esistenziale. Migrano, gli uccelli emigrano Con il cambio di stagione Giochi di aperture alari Che nascondono segreti Di questo sistema solare — Franco Battiato, Gli uccelli. Tyger! Tyger! Burning bright In the forests of the night: What immortal hand or eye Could frame thy fearful symmetry? Tigre! Tigre! Divampante fulgore Nelle foreste della notte Quale fu l’immortale mano o l’occhio Ch’ebbe la forza di formare la tua agghiacciante simmetria? — William Blake, The Tyger (trad. it. di G. Ungaretti). […] tutti si credono padroni, proprietari, zii di gatti, compagni, colleghi, discepoli o amici del proprio gatto. Io no. Io non sono d’accordo. Io non conosco il gatto. So tutto: la vita e il suo arcipelago, il mare e la città incalcolabile, la botanica, il gineceo e le sue perdizioni, il più e il meno della matematica, gli imbuti vulcanici del mondo, la scorza irreale del coccodrillo, la bontà ignorata del pompiere, l’atavismo azzurro del sacerdote, però non posso decifrare un gatto. La mia ragione è scivolata nella sua indifferenza, i suoi occhi hanno numeri d’oro. — Pablo Neruda, Ode al gatto. Dormono le cime dei monti, i dirupi le balze, le gole e tutte le specie di animali che nutre la nera terra: le bestie montane, la stirpe delle api e i mostri negli abissi del mare purpureo e dormono gli uccelli che dispiegano le ali — Alcmane, frammento 49 (Garzya), noto come Notturno Da noi uccelli vengono ai mortali tutte le cose più importanti: per prima cosa noi facciamo sorgere le stagioni: primavera, inverno, autunno; quando c’è da seminare la gru parte stridendo per la Libia e avverte i marinai di appendere il timone e di farsi bei sonni […] Poi ecco che arriva il nibbio a recare una nuova stagione, quando è il momento di tosare le pecore perché è arrivata la primavera. Quando arriva, invece, la rondine è tempo di vendere il mantello e comprare una veste leggera. — Aristofane, Uccelli, 708-715. Il Concorso Battagliarin ha un suo sito Internet ed è presente su Instagram, Facebook e Telegram. · Sito del Concorso Battagliarin: www.concorsobattagliarin.com Inquadra il codice QR per raggiungere il sito · Facebook: Pagina FB Concorso d'eccellenza Giordano Battagliarin Link di Facebook per il QR: https://www.facebook.com/concorsobattagliarin/ Inquadra il codice QR per raggiungere la pagina Facebook · Instagram: @concorso.battagliarin Inquadra il codice QR con la fotocamera del telefono per essere reindirizzato alla pagina Instagram Link di Instagram per QR: https://instagram.com/concorso.battagliarin · Link Telegram: t.me/concorso battagliarin1 La commissione al fine di alimentare idee e creatività s’impegna ad offrire spunti, stimoli e suggestioni inerenti al tema, proponendo on line sulle pagine dedicate, lungo l’intero anno scolastico materiale legato al tema: foto, scene di film, commenti ad opere, brevi riflessioni. Saranno inoltre proposti sul sito e sui profili social video di brevi interventi, tenuti da membri della Commessione, docenti ed ex allievi dei tre licei coinvolti. Se durante l’anno scolastico, sarà possibile organizzare incontri in presenza nelle sedi delle tre scuole, verrà inviata una circolare di invito a tutte e tre le scuole coinvolte La Commissione del Concorso d’eccellenza “Giordano Battagliarin”:

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